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Raccontare i territori, tra genius loci e local ecological knowledge

Nella religione romana ogni luogo abitato e frequentato dall’uomo è caratterizzato dalla presenza di un’entità naturale e soprannaturale: il Genius loci

Il Genius loci, lo spirito del luogo, riunisce tutti i significati che si possono attribuire a una specifica località. In tempi più recenti il termine è stato ripreso da architetti e sociologi per riferirsi agli aspetti socio-culturali e alle relazioni instaurate tra uomo e ambiente in uno spazio delimitato (ad esempio, una città o un villaggio).

Con il progetto pilota dell’Open School for Village Hosts abbiamo selezionato 40 progetti di 40 attivatori di comunità diffusi nelle aree rurali di tutta Europa. Ogni progetto si interfaccia al luogo in cui si sta realizzando in un modo diverso, mettendo in luce una molteplicità di modi di interagire con il Genius loci e le identità locali.

Ogni luogo è diverso per geografia, storia e cultura; raccontare storie sulle specificità locali ne rafforza l’identità e crea un senso di appartenenza. Questo è vero sia per la comunità che abita quel posto, che si riunisce attorno a tradizioni e usanze condivise; sia per chi proviene dall’esterno e un po’ spaesato scopre un modo diverso di abitare un luogo.

Le storie su come l’uomo si è adattato a vivere in determinati contesti ambientali vengono tramandate per trasmettere alle generazioni future conoscenze specifiche per vivere nel contesto territoriale. In termini contemporanei si può fare riferimento alla Local Ecological Knowledge, la conoscenza, le pratiche e le credenze relative alle relazioni ecologiche acquisite attraverso l’osservazione personale e l’interazione con gli ecosistemi locali e condivise dagli utenti delle risorse locali.

A Grottole, nella collina materana, la Local Ecological Knowledge si esprime, ad esempio, con la tradizione della terracotta. L’argilla, che storicamente veniva presa dai calanchi vicino al fiume Basento, era abbondante e venendo raccolta solamente dagli strati più superficiali non portava a uno sfruttamento intensivo delle risorse. La stessa acqua, necessaria per lavorare l’argilla, abbondava vicino al fiume e le fornaci per cuocere l’argilla venivano alimentate con la legna secca raccolta durante l’anno nella stessa zona, ricca di cespugli e macchia mediterranea.

La trasmissione di queste conoscenze legate al territorio è stata compromessa dalla rivoluzione industriale e dalla standardizzazione dei processi produttivi e delle materie prime. Così oggi anche a Grottole l’argilla che viene utilizzata dall’ultimo terracottaio viene importata dalla Toscana e i prodotti che realizza sono dei souvenir da vendere ai turisti o delle opere d’arte; essendosi persa la necessità di utilizzare strumenti di terracotta nella vita di tutti i giorni. Si può immaginare un modo per preservare queste tradizioni nel contemporaneo? L’argilla di Grottole può entrare a far parte di una filiera locale circolare di qualità e sostenibile? Si possono generare dei prodotti che ancora incarnano il genius loci ma che che si adattano all’uso e al desiderio contemporaneo?

L’importanza di continuare a raccontare storie legate ai territori riguarda anche la cultura locale e le tradizioni folkloristiche. A Stigliano, ad esempio, nella montagna materana,  il festival di arte pubblica AppARTEngo ha portato l’artista DEM Demonio a lavorare per riportare in luce due antiche maschere del carnevale a distanza di decenni.

Dopo uno studio approfondito e il confronto con lo studioso Mimmo Cecere, autore del libro “La Spiga e il Caprone – Antiche maschere antropologiche stiglianesi”, l’artista ha dato vita a un progetto che ha coinvolto la comunità locale. Nel corso di una residenza d’artista, Dem ha realizzato le maschere della Spiga e del Zimmaro utilizzando materiali naturali. Il recupero dei carnevali e delle feste tradizionali permette di recuperare una parte della cultura tradizionale, che è stata quasi completamente abbandonata alla fine del secolo scorso, e che ora potrebbe portare il carnevale di Stigliano a far parte della Rete dei carnevali della Basilicata.

Quello che è stato fatto a Stigliano con il contributo di DEM è solo l’inizio di un percorso che, attraverso la riscoperta delle maschere del Zimmaro e della Spiga, nella volontà dell’artista, vuole portare a un passaggio del testimone con le nuove generazioni, che portino avanti la tradizione rafforzando l’identità locale e creando una nuova attrattività per il territorio e che possa portare queste maschere a girare altri carnevali storici in Italia e all’estero generando ponti e facendo riscoprire un arcaico affascinante perché legato alla natura e ai suoi cicli.

E questa attività non è legata solo al Carnevale, ma vuol dire mettere in moto un’ intera parte di comunità, per celebrare di nuovo un rito, per aumentare la loro consapevolezza e riappropriarsi della propria identità, stimola lo sviluppo di nuove competenze per diversi soggetti,  li porta a stare assieme in maniera nuova, genera opportunità di connessione con altre persone e crea nuovi modelli di sviluppo partendo da una nuova gestione del loro patrimonio.

Fotografie di: Cristina Carbonara

Si rigrazia DEM per averci raccontato il suo lavoro